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“Ho deciso di frequentare un corso Yoga ma non so quale scegliere, ce ne sono tanti e con tanti esercizi difficili, mi aiuti ?“
E’ una domanda ricorrente rivelatrice delle difficoltà che si incontrano entrando nell’ universo dello Yoga, tanti stili e pratiche che utilizzano strumenti diversi per giungere ad un obiettivo comune, nelle quali rischiamo di perderci senza comprendere il senso di quello che facciamo. Le origini di questa domanda risalgono a molti secoli indietro e le difficoltà nell’interpretare l’argomento sono sempre esistite perchè lo Yoga ha risentito di influenze religiose e sociali oltre a traduzioni errate introdotte con l’esportazione dello Yoga in l’occidente.
Cerchiamo allora di orientarci racchiudendo tutte le proposte Yoga in due grandi insiemi, classico e moderno: il classico include ciò che proviene da antiche tradizioni indiane che nel tempo, grazie al confronto continuo attraverso estenuanti dibattimenti filosofici, si sono evolute affinando la propria visione della vita; nel moderno ci sono le altre proposte. In molti casi la scelta è influenzata dal pregiudizio attribuito agli aggettivi Tradizionale e Moderno: chi riconosce alla tradizione il valore dell’autenticità è certo di avere fatto la scelta giusta allo stesso modo di chi sceglie il moderno perché rivisitato, dunque migliorato, rispetto ad antiche tradizioni che non gli appartengono. Certi e felici di avere trovato il vero Yoga, in entrambi i casi potremmo imbatterci in attività che di Yoga hanno solo un vago profumo.
Allora dobbiamo spingerci oltre passando al setaccio le proposte fino a quando non incontriamo quella che utilizza lo strumento a noi più consono per indirizzarci sulla strada che porta verso uno stato mentale definito “citta vritti nirodah”, cioè “libero dal flusso continuo dei pensieri”, dai meccanismi mentali dei quali siamo vittime, per rimettere nelle nostre mani il telecomando che spegne i processi mentali accesi dal vivere quotidiano, quei processi che ci fanno reagire anziché agire agli stimoli della vita.
Eppure diamo tanta importanza alle Asana (posizioni) limitandoci ad osservare il solo risultato, pensando “non ci riesco” oppure “non sono bravo” o “devo riuscire per forza”. Fare Yoga non significa lavorare per il corpo ma con il corpo, con gli strumenti di cui disponiamo ora, non ci sono abilità fisiche da sviluppare, si fa quel che si può come si può. Il corpo non è l’obiettivo bensì uno strumento per iniziare a prendere coscienza della parte più materiale e grossolana che ci appartiene per poi trascendere verso pratiche più sottili. Dunque se non curiamo le giuste intenzioni ci troveremo nella direzione opposta a quella che lo Yoga ci indica: Asana lavora sul corpo, sulla forma che a noi piace tanto mostrare attraverso la quale rafforziamo il nostro ego, sulla quale è possibile confrontarsi e giudicare attivando desideri e insoddisfazioni. Se la posizione non è accompagnata da giuste intenzioni potrà nascere esaltazione e confronto, dal confronto scaturirà il giudizio, dal giudizio nascerà il desiderio di cambiare che inevitabilmente porterà insoddisfazione. Ma non avevamo intenzione di liberarci dal flusso continuo dei pensieri ?
Curiamo le intenzioni, le cose che non si vedono ma che condizionano fortemente qualsiasi azione, anche le Asana. Pensiamo per esempio ad un pittore che dipinge una tela con l’intento di venderla in fretta ed allo stesso pittore che invece dipinge la stessa tela con l’intento di esprimersi: nel primo caso l’artista si adegua ai gusti del mercato, nel secondo caso è attento a comunicare il suo stato interiore. Il risultato ? Due quadri completamente diversi !
Le intenzioni da inserire nella pratica le ha esplicitate Patanjali nel III° secolo d.C. in un trattato dal titolo “Yogasutra”, dove è chiaramente indicato il “come praticare” invece delle “pratiche da fare”. Un trattato dove la parola Asana rappresenta poco più dell’1% nell’economia del testo che supera ogni forma di Yoga precedente, tracciando una linea chiara dalla quale partono, o almeno dovrebbero, tutti gli stili oggi presenti. Le pratiche, descritte nei testi successivi, devono accompagnarsi alle intenzioni giuste, allora saremo sicuri di camminare nella direzione dello Yoga. Abbiamo bisogno di intenzioni e pratiche per fare Yoga.
Per preparare una torta sacher non basta il cioccolato, se togliamo un ingrediente o ne esaltiamo altri otterremo una torta, non una sacher. Non cambiamo la ricetta dello Yoga, partiamo dal nostro tappetino inserendo tutti gli ingredienti. Liberiamoci dai pregiudizi sul tradizionale e sul moderno, cerchiamo le pratiche che ci fanno vibrare, che rispettano le nostre abilità e inabilità, che puntano al raggiungimento di quello stato mentale di cui oggi, più di ieri, abbiamo tanto bisogno.
[/fusion_text][fusion_text]Autore: Antonio Pittiglio
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Antonio Pittiglio, insegnante Hatha Yoga diplomato presso “Accademia Yoga” di Roma, iscrizione Yani n°1324, attualmente in formazione con Antonio Nuzzo – Advaita Yoga Sangha.
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